Il Coronavirus: dalla solitudine del morente alla morte
di Giovanni Ferrari
La memoria mi riporta a rileggere l’esistenzialismo francese, è precisamente il romanzo tragico e drammatico dello scrittore francese Albert CAMUS:”LA PESTE”, pubblicato nel 1947, uscito dopo la conclusione del secondo conflitto mondiale, una riflessione sul male e sulla tragedia traumatica della guerra, che ancora pesano sulle coscienze europee: come il male, la peste non viene mai debellata del tutto, ambientato a Orano in Algeria negli anni 40, dove Camus figlio di una modesta famiglia di coloni, a causa delle tensioni politiche fu costretto a trasferirsi a Parigi. Nella “PESTE”, si riflette quel clima di sofferenza indistinta e indecifrabile e quella riflessione sull’apparente assurdità della vita che avvicinano Camusalla corrente filosofica dell’esistenzialismo novecentesco francese capeggiata da Jean Paul SARTRE. La città di Orano come oggi ,anche altre città d’Italia, viene messa in quarantena; la città è completamente bloccata, c’è chi lucra sulla disgrazia degli altri, alcuni sono convinti che la Peste sia una punizione divina. Dalla primavera si passa all’estate e con il caldo anche la peste si trasforma, passando dalla forma bubbonica alla più contagiosa peste polmonare. Gli abitanti di Orano continuano a morire nella totale solitudine, non trovarono neanche più posto nelle fosse comuni.
A distanza di tanti anni quello che sta succedendo nel mondo, in particolar modo in Italia anche se in forma diversa, come l’epidemia del CORONAVIRUS, assistiamo impotenti a quello isolamento del morente e la rimozione dell’idea della morte.
Nel novecento la parola della morte ha trovato il suo interlocutore primo e più autorevole in Martin HEIDEGGER, in “Essere e tempo”. infatti chi muore nella sua solitudine di morente, non serve al mondo dei fatti e dell’agire, né da esso è servito, diventa inutile al mondo: chi muore oggi di Coronavirus è fuori, è altro, ossia una somma di solitudini incomunicanti di popoli, la follia delle separazioni, il dolore inutile della lotta tra i saperi, la provvisorietà insostenibile di una comunicazione sempre minacciata nella sua permanenza di senso. La parola morte, come parola della mancanza essenziale, diventa così la mancanza della parola, della parola vera, il silenzio coatto, il balbettio insignificante: la parola morte è forse l’ultima parola della solitudine.
Di fronte a questa epidemia o meglio tragedia umana; quante volte oggi ascoltiamo: “STO PER MORIRE”, è difficile accettare questa frase quando è detta da una persona amata; che sia la mamma adorata, il figlio, un grande amore, una sorella o l’amica del cuore, soprattutto quando questa consapevolezza interviene in questi interminabili giorni di isolamento, di solitudine, di angoscia e di paura.
E’ indispensabile non mentire: accettare la verità, anche se ci è arrivata addosso come un macigno, è essenziale dirsi con semplicità le emozioni e i sentimenti dei momenti ulti della vita. Solo la sincerità può aiutare in un dialogo intimo e profondo. L’egoismo di ognuno di noi di sentirsi e comportarsi come se fossimo eterni, mentre la grande falciatrice è qui accanto a noi e potrebbe decidere di sterminare ancora, senza fine.
Cosa conta in questi momenti? Non sentirsi soli, purtroppo siamo costretti a non dare un abbraccio alla persona amata, è il più sconsolante e amaro degli addii, una morte fuori casa, quel luogo sacro cui sentiamo di appartenere e in cui vogliamo dire addio al mondo, invece che nell’indifferenza asettica di un ospedale o peggio di una rianimazione, dove è alto il rischio di morire più soli di un cane abbandonato, imbrigliati da una rete di fili, tubi e flebo, per molti più vicina a una camera di tortura che non, a un luogo in cui morire con dignità. La solitudine peggiore per un moribondo è non poter annunciare ai suoi cari che sta per morire.
Anche un poeta in apparenza così conciliante ed animo sollevato come Herman HESSE lascia trapelare, in fondo gli stessi pensieri:
“E’ strano camminare nella nebbia!
Vivere vuol dire essere soli.
Nessun uomo conosce l’altro:
ognuno è solo!”
In effetti, una cosa è certa: esiste una notte, nel cui desolato abbandono non giunge alcuna voce, esiste una porta, attraverso la quale possiamo transitare esclusivamente da soli: la porta della morte. Ogni paura imperante nel mondo è in definitiva paura di questa tremenda solitudine. La morte è la solitudine per antonomasia. Ma l’orrenda solitudine in cui nemmeno l’amore riesce più a penetrare, è davvero l’inferno. Il ruolo dei poeti è molto importante, come anche la poetica da Mallarmé in poi: giocare con la parola morte contro la parola morta, ossia vincere la morte della parola con la parola morte, la parola solitaria. La solitudine del morente è pertanto la ragione dell’angoscia, radicata nel fatto stesso che l’essere è gettato allo sbaraglio, eppure deve egualmente esistere, anche trovandosi costretto ad affrontare l’impossibile come la morte.
Purtroppo questa situazione tragica e drammatica del CORONAVIRUS se si fosse verificata in Calabria saremmo tutti morti. La gravità della situazione sanitaria in Calabria, ormai da anni continua ad essere commissariata per infiltrazione e corruzione mafiosa, interi dipartimenti sanitari regionali; il settore della sanità continua ad essere intriso di interessi trasversali e fortune politiche.
Il sistema sanitario è un settore molto appetibile per la criminalità organizzata. Le infiltrazioni possono avvenire attraverso diversi varchi: la conoscenza di persone compiacenti, l’aggiudicazione di appalti, il conflitto di interessi. L’antidoto? Formare coscienze competenti. La corruzione e le frodi nella sanità calabrese sono temi di tale gravità e complessità che impongono di essere affrontati con uno sguardo che supera tale dimensione. Per cercare di affrontare e risolvere seriamente questa piaga è necessario innanzitutto analizzare quali siano le sue radici profonde, in questo senso è stato appurato che nella sanità la corruzione dilaga soprattutto negli appalti, negli incarichi e nelle nomine, nella sanità, tutto viene mediato dal sistema delle nomine, non c’è dubbio che dalle nomine derivano i problemi negli appalti, negli incarichi e nell’inquinamento con la politica.
Se pensiamo a quello che succede sul nostro territorio, nella fascia jonica della Sibaritide con circa 220mila abitanti, un territorio vastissimo che va da Rocca Imperiale a Cariati ed oltre; sanità completamente inesistente, l’Ospedale di Cariati chiuso, Trebisacce chiuso, per non parlare di Corigliano e Rossano ridotti ad una vera e propria vergogna, purtroppo ammalarsi è una disgrazia umana.
* Dipartimento di Studi Umanistici – Università di Napoli “FEDERICO 2”